Un anno di Sottobosco! Guida alla visione del polar francese | Perché il genere poliziottesco si è estinto nel 1981?

Sembra che siano passati 10 anni dalla prima volta che scrissi una recensione su questo blog, ma è passato solo un anno dalla sua apertura e già abbiamo un pubblico solido su cui affidarci.
Ho cominciato ad appassionarmi di cinema ancora prima che muovessi i primi passi sui social networks, visionandomi alcune scene d'azione con Maurizio Merli e Franco Nero, e dopo essermi degustato il filone poliziottesco, ho anche avuto l'occasione di vedere uno dei capisaldi del cinema francese: Jean-Pierre Melville. Ho voluto condividere con voi i miei sentimenti e le mie passioni per il genere poliziottesco, ingiustamente denigrato dalla critica di allora e rivalutato solo a partire dagli anni '90 grazie alla rivista Nocturno.
Ho voluto condividere con voi l'enorme patrimonio cinematografico che aveva l'Italia, prima di cadere nell'oblio culturale e produttivo in cui risiede oggi. Quell'Italia produttiva e determinata non esiste più, visto che molti produttori cinematografici vanno sempre a colpo sicuro sulle commedie e sono costretti a conformarsi a diverse regole, addirittura di stampo politico (!!).
Ho voluto parlarvi delle chicche nascoste del nostro cinema, alcune che aspettano ancora di essere riscoperte. E spero di parlarne di altre ancora, con voi!
Grazie di cuore per seguirci da un anno a questa parte!
Grazie ancora per l'attenzione prestata alle nostre recensioni!
Grazie per seguirci nelle future recensioni!

No, il polar non è un genere nato in Groenlandia, è un genere tutto made in France nato grazie alle opere di Jean-Pierre Melville; dall'unione di policier e noir. Sfortunatamente passato a miglior vita all'età di 55 anni nel 1973, ormai quasi dimenticato dalla critica e dal pubblico di allora, fu colui che fece conoscere al mondo il poliziesco in salsa francese: freddo, ironico e crudo. Fece attirare su di sé le ostilità delle corporazioni cinematografiche francesi, visto che nel cuore di Parigi (precisamente in via Jenner) si costruì da solo il suo laboratorio indipendente.
Non siete ancora convinti della sua voglia di fare? Si finanziava di tasca propria i suoi films, e addirittura era lo specialista dell'adattamento cinematografico di alcuni libri, tant'è che lo scrittore drammatico Jean Cocteau chiese a lui di adattare il romanzo I Ragazzi Terribili (1929).

Ma andiamo con ordine, tanta confusione ed emozioni in un colpo solo non sono mai buoni motivi per cominciare uno speciale.
Nato in una famiglia ebraica originaria dell'Alsazia, sin dall'infanzia si appassiona di cinema: in particolare a 15 anni nel 1933, quando vide il film bellico/drammatico Cavalcade. Da lì in poi decise di diventare regista, e si vantava di aver visto un centinaio di volte tale pellicola.
Dopo la guerra, decise di mettere da parte dei quattrini e girò nel 1946 il suo primo cortometraggio in 16 mm, Ventiquattro Ore nella Vita di un Clown, senza avere successo.
Si fece conoscere definitivamente in Francia nel 1947 con Il Silenzio del Mare, girato in condizioni molto precarie e senza aver avuto il permesso da Vercors per fare l'adattamento su schermo del suo romanzo. Già nel 1955 girò il suo primo noir, Bob il Giocatore, una storia drammatica su un giocatore d'azzardo al verde che organizza una squadra per rapinare il casinò di Deauville.
Sempre nel 1955 acquistò una serie di capannoni abbandonati nel centro di Parigi per costruirsi i suoi studi cinematografici, e vi lavorò fino al 1967, quando un incendio distrusse i suoi studi mentre stava girando Le Samourai, di cui ne parlerò a breve.
Lavorò anche come attore, chiamato da Jean-Luc Godard nel film di Fino all'Ultimo Respiro (1959), entrando a far parte della Nouvelle Vague francese. Ma quando il suo secondo noir, Le Jene del Quarto Potere (1959) fu un insuccesso, Melville cominciò a studiarsi un nuovo tipo di cinema... più astratto, più freddo e classico, il che lo allontanerà dall'Onda francese.


Nel 1961 girò Leòn Morin, Prete, ancora una volta finanziato dal regista, e interpretato da diverse stelle del cinema francese come Jean-Paul Belmondo ed Emmanuelle Riva, tra laicità e religione. Ritorna con successo nel noir con Lo Spione e Lo Sciacallo (1962-63), di cui quest'ultimo fu teatro di polemiche con Belmondo.
Sul set di Lo Sciacallo litigò costantemente con Charles Vanel, Belmondo in sua difesa tirò uno schiaffo potente al regista, strappandogli via gli occhiali e il suo cappello!

Nel 1966 girò uno dei suoi noir più apprezzati, Tutte le Ore Feriscono... l'Ultima Uccide, con Lino Ventura come protagonista. Gli ingredienti principali sono l'assenza di determinazione nei personaggi, la lealtà negli antagonisti, aspetti psicologici esplicati e lo scontro con la polizia tramite alter-ego. Il linguaggio di tale opera ha dell'incredibile, sottile ma diretto.

Quando si incendiarono gli stabilimenti di Melville nel 1967, girò quello che considerava il suo capolavoro, Le Samourai: secco, diretto, bello e freddo in un universo ripieno di tali caratteristiche. Tale mondo nichilistico e freddo ispirò anche il nostrano maestro Fernando Di Leo (girò il suo primo film un anno dopo, Nome in Codice: Rose Rosse). Si tratta del punto più alto del polar, ricco di significati e dalla frase secca all'inizio della pellicola, la quale spiega il titolo in francese...  "non esiste solitudine più profonda del samurai, se non quella della tigre nella giungla".
Capolavoro anche nella fotografia, rigorosamente curata da uno degli esponenti della Nouvelle Vague, Henri Decae. La sua mano si nota anche quando Delon viene pedinato in una Parigi notturna, rappresentata come la tigre che cerca di sfuggire dalla caccia dei lupi.
Il film in questione fu l'inizio di una lunga collaborazione con Alain Delon, attore che rappresentava a 360 gradi l'universo melvilliano: prossimo a un fatale futuro, ma fiero e robusto.

In seguito litigò pesantemente con Lino Ventura, che durante le riprese di L'Armata degli Eroi nel 1969 non parlò più con il regista, e il regista parlò con lui solo tramite un assistente. Questo film attirò sul regista molte polemiche da parte della critica, soprattutto dalla prestigiosa rivista Cahiers du Cinema che aveva politicizzato il film e accusato il regista di essere un "filo-gollista" (l'apprezzare le idee politiche di Charles de Gaulle, che mesi prima dell'uscita del film nelle sale lasciò bruscamente il suo ruolo di generale).
Tali critiche colpirono anche i distributori americani, che alla fine rifiutarono di distribuire il film negli Stati Uniti, fino ad essere finalmente rilasciato nel 2006. Il film totalizzò un risultato non male nelle sale: ben 1.401.822 ingressi. 37 anni dopo la sua uscita in Francia, negli USA incassò un totale di 741.766 dollari.

Arriviamo nel 1970, e arrivò anche l'opera che consacrò Melville come maestro del polar anche al di fuori della Francia: I Senza Nome. Quinto film dell'anno al botteghino, con 4.300.000 spettatori, e anche la critica lo accolse molto favorevolmente. Impostato come un western, ma che gravita sempre nell'ambiente del polar. Anche qui ricchissimo di significati, che spiegandoli molto brevemente si parte da: il codice d'onore del samurai (bushido) alla tragedia greca, dal film gangster al fatalismo, dall'amicizia alla determinazione. La colonna sonora è ai suoi minimi sindacali, dato che nel film governano le parole al posto della musica. Il montaggio fu curato addirittura dal regista, che ne ha curato la tempistica delle scene, tra cui la rapina in gioielleria: 20 minuti di scena muta, divisa a metà da un'unica battuta. L'esponente fotografico della Nouvelle Vague creò il "bianco e nero a colori", ovvero desaturando le immagini e arricchendo la notte con una tonalità blu.
Dopo la morte nel regista nel 1973, quest'opera finì sciaguratamente nell'oblio per 10 anni, fino a quando dei nuovi registi come Quentin Tarantino, Walter Hill e Michael Mann non iniziarono a prenderne esempio e a rivalutarla. Quando si assapora il polar, difficilmente lo si può lasciare...

Melville firma il suo ultimo film nel 1972, con nuovamente nelle vesti del protagonista Alain Delon. Amaro in bocca evidente sulla giustizia e sulla vendetta, anch'esse fredde e ironiche come le opere precedenti del regista, ma con una critica palese alla polizia all'inizio del film: "gli unici sentimenti che un uomo è stato mai in grado di suscitare alla polizia sono l'ambiguità e la derisione" (frase firmata dall'investigatore privato dell'epoca napoleonica François-Eugène Vidocq). L'accoglienza al botteghino non fu come se l'aspettava Melville, dato che il film riscontrò 1.400.000 di spettatori in tutta la Francia (vicino ai livelli dei 1.900.000 di Le Samourai), ma fu la critica che inflisse un duro colpo al film. Dalla rivista Cinema 72, il sig. Tristan Renaud ci comunica che è rimasto deluso dal regista e in particolare dai suoi personaggi, che vengono rappresentati come dei "semplici ladri", definendo "insignificante" la sceneggiatura.

In seguito a tale insuccesso, lavorò alla prossima sceneggiatura del suo film, intitolato Contre-Enquete (Contro-Indagine) insieme a Philippe Labro, che assistette improvvisamente alla morte del regista. L'8 agosto del 1973, Melville fu colpito da una crisi cardiaca mentre stava cenando con Labro all'Hotel Saint-Jacques a Parigi.

Dopo la sua morte, le sue idee hanno continuato a camminare su altri registi.
Soprattutto Jacques Deray ed Henri Verneuil, che contribuirono a lanciare l'attore Belmondo in Francia e anche all'estero. I films girati con lui ebbero talmente tanto successo che in Russia coniarono il termine di "belmondismo", che indica il fare acrobazie impossibili sul grande schermo con un'ironia pungente. Si ricordano in particolare Le Casse (1971), Peur sur la Ville (1975), Le Marginal (1983). Anche uno spicchio di Georges Lautner cercò di raccogliere l'eredità di Melville con Le Professionnel (1981), riscuotendo un enorme successo al botteghino anche grazie alla colonna sonora di Ennio Morricone. Flic ou Voyou (1979) cercò di mischiare la commedia con il polar, e fu un successo anche questo, segnato anche dal carisma di Belmondo.

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Finita questa lunga guida sul genere francese del polar, spostiamoci nel nostro stivale e parliamo di un genere che ho più volte recensito nel blog: il poliziottesco italiano.

Nato per puro caso nel 1966 con Svegliati e Uccidi, una biografia sul grande schermo del bandito Luciano Lutring (definito anche come "il solista del mitra", dato che era solito portare in una custodia per violino il suo mitra). Sangue, sparatorie e ricco di critiche nei confronti della società dell'epoca, in quanto Robert Hoffmann interpreta un ragazzo con poca voglia di lavorare e incomincia a fare il rapinatore per guadagnare soldi più facilmente. 
Il film fu il 92° miglior incasso nella stagione cinematografica 1965-66, e fu riscoperto solo con la nascita di Internet negli anni '90, anche grazie ai nuovi critici del Nocturno.



6 anni dopo l'uscita della biografia di Lutring nelle sale, Steno decide di uscire dalle sue commedie e si firmò la prima e unica volta con il suo vero nome: Stefano Vanzina. Era il 1972, e girò quello che da molti è considerato il punto di partenza del genere poliziottesco, La Polizia Ringrazia, opera sorprendente da un regista abituato alla commedia! Da qui in poi, il poliziottesco sarà un mix tra i films di denuncia politico/sociale alla Damiani e ai films d'azione all'americana con Callaghan. Non ha sequenze dure e profondamente violente, ma si segnala la morte brutale della giovane Laura Belli, sacrificata dal criminale in fuga e gettata dal motorino in corsa. Enrico Maria Salerno interpreta un commissario che crede nella legge, ma non sgarra mai nell'applicarla, ma quando il sentimento di non dare sicurezza nei cittadini si sente più forte, da' le dimissioni. L'Anonima Anticrimine semina Roma di cadaveri simbolici e non di persone qualunque, il tutto stilizzato in dei poster che raffigurano dei spazzini intenti a ripulire Roma... ed accenna al tentato colpo di Stato, ancora fresco, del 1970 con Junio Valerio Borghese. Le musiche di Cipriani aiutano a rendere indimenticabile il film. Fu record di incassi nella stagione cinematografica 1971-72: ben 1,696,360,000 di Lire!

Se nel 1972 c'era chi aveva fatto partire la scintilla del poliziottesco, l'anno seguente scriverà i dettami del genere e si tratta di La Polizia Incrimina, la Legge Assolve. Nell'azione ricorda moltissimo il leggendario Bullitt (1968) e la trama è ispirata all'omicidio Calabresi (colui che aveva defenestrato l'anarchico Pinelli a Milano), in quanto lo stesso Castellari affermò di averne preso spunto. Si ha l'immagine definitiva del commissario di ferro, impotente nel fermare crimini in città, ma giustiziere dal cuore d'oro.
Il film è ricordato in particolare per il lungo inseguimento di 8 minuti all'interno del film, il quale ci dimostra la fantasia eccezionale delle auto dell'epoca: una Alfa Romeo Giulia TI e una Citroen DS furgonata in versione ambulanza, venduta al regista dalla Croce Rossa di Genova, interamente coreografato da Remy Julienne. Anche qui le musiche dei fratelli De Angelis sono indimenticabili, come l'incasso del film: ben 1,625,825,000 Lire, vicino al record del film di Steno!

Il genere toccherà la sua massima espansione nel 1975-76, in cui debuttò il commissario per antonomasia del genere: Maurizio Merli. Nel genere si cimentarono anche sparatori inespressivi come Luc Merenda, ma anche rubacuori come Ray Lovelock, inespressivi fisici come Henry Silva, poliedrici come Antonio Sabàto e il doppiatore italiano di Colombo, Giampiero Albertini. Ma come tutti i filoni, alla fine si esauriscono...

Arriviamo nel 1980, anno in cui l'Italia uscì stremata da un lungo decennio di piombo ricco di violenze e di lunghi scioperi tra fabbriche e sindacati, anno in cui alcuni registi cercarono di tenere in piedi con le loro ultime forze il filone...
Soprattutto Stelvio Massi, colui che risollevò le sorti delle Produzioni Atlas Consorziate (ormai produceva soltanto gialli di stampo religioso) inserendo e portando ai massimi livelli il poliziottesco, che qui girò l'ultima sua collaborazione con Merli: Poliziotto, Solitudine e Rabbia. Contiene tutti i difetti del filone: personaggio fumettistico così come i dialoghi, scene d'azione troppo esplosive e trama appena percettibile. Massi cerca sempre di rendere interessante ogni scena del film, anche qui riesce a farlo, ma andando contro alle basi del genere: diverso e abbandona la forzatura della violenza gratuita. Merli interpreta un uomo solitario e triste, ma con la forza di fare il suo lavoro di poliziotto in un sistema corrotto come quello italiano. Oltre ai difetti, siamo davanti a un poliziottesco umano e molto più credibile. Musiche gradevoli, film da riscoprire. Anche il pubblico rispose in maniera ottima al botteghino: ben 508,000,000 di Lire, nonostante il filone fosse al suo tramonto.

Dopo tale film, molti altri registi cercarono di riesumare il filone...
Soprattutto l'incredibile ma abominevole tentativo di Fabrizio Lori con Il Falco e la Colomba, già stroncato ferocemente dalla critica dell'epoca, in un clamoroso tentativo di mischiare la commedia romantica con il poliziesco (!!!). Oltre a lui vi è anche Gianni Manera, che dal 1975 girò e inserì nel minimo dettaglio le location e le scene del suo mafia movie Cappotto di Legno, uscito nelle sale solo nel 1981. Si conta anche l'ultimo film di Silvio Amadio, Il Carabiniere, dimenticabile per le sue musiche da ascensore e con scene al limite dell'assurdo... anche il film automobilistico e strambo di Car Crash, girato da Antonio Margheriti. Il cinema italiano, in questo periodo è dominato dalle sceneggiate napoletane, soprattutto il sequel di Napoli... Serenata Calibro 9, ovvero Napoli, Palermo, New York: il Triangolo della Camorra girato dal melodrammatico Alfonso Brescia.

Giunti alla fine di questo lunghissimo articolo, il problema nel genere è evidente: la mancanza di idee per farlo continuare. Dato che l'Italia era appena uscita da un decennio sanguinolento e pieno di piombo, molti cineasti non volevano più sentir parlare del poliziottesco, e quindi si erano orientati verso la commedia, oppure nuovamente nei gialli, ma di chiara ispirazione estera. Questo fu anche a causa dell'enorme presenza delle televisioni, che svuotarono di molto le sale cinematografiche fino alla completa sparizione del cinema di genere italiano alla fine degli anni '80. Ora le televisioni stanno scomparendo, ma dubito fortemente che il cinema di genere italiano ritornerà ai livelli degli anni '70, così come quello francese, ancora attivo ma con poche idee al riguardo.

E con questo, grazie per avermi seguito fino a qui, e grazie per la vostra visione!
Ci vediamo, come sempre, in un'altra recensione, cari spettatori del blog!

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