Bollettino Cinematografico #8: Nel Pieno della "Noberu Bagu" Giapponese

Cari spettatori del Sottobosco, ben ritrovati in questo nuovo appuntamento... questa volta non al sapore di piombo, ma al retrogusto di kayokyoku e di neorealismo. In precedenza avevamo trattato del sig. Yasuzo Masumura, giunto qui in Italia agli inizi degli anni '50 per studiare assieme ad altri maestri come Antonioni, Luchino Visconti e Fellini... anche del sig. Yamada, autore della famosissima saga di "Otoko wa Tsurai yo". Loro due, insieme, rappresentano la motivazione del perché bisogna dare uno sguardo, almeno una volta nella vita, alle loro performance sul grande schermo: non ve ne pentirete.
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I Miei Figli, regia di Yoji Yamada, 1991.
Tetsuo, dopo essersi licenziato dal ristorante in cui lavorava, trova un altro impiego in un'azienda di trasporti: durante una traversata, in una fabbrica si innamora di una giovane ragazza sordomuta. Il padre di Tetsuo accetterà la sua proposta di matrimonio?
Sebbene la pellicola si muova a dei ritmi davvero lenti ed abbia una durata parecchio longeva (2 ore!), si lascia vedere per le musiche composte da Teizo Matsumura... oltre che per la sottotrama amorosa tra Masatoshi ed Emi, costellata di scherzi e di incomprensioni. Convincente l'interpretazione di Rentaro Mikuni nel contadino che nonostante l'età avanzata, continui a prestare servizio alla sua fattoria... di fronte ad una nuova generazione proiettata verso il consumismo ed alla vita frenetica in una megalopoli come Tokyo, che non ha pietà nei confronti della sua classe lavoratrice... sia in estate che in inverno. Le generazioni passano, ma le relazioni familiari non cambieranno mai. Trama facilissima da seguire (suddivisa in tre parti) e fotografia per niente male, ma che non raggiunge i livelli delle sue precedenti pellicole (come per quel fazzoletto...).

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La Gatta Giapponese, regia di Yasuzo Masumura, 1967.
Un ingegnere industriale di mezza età si fidanza e si sposa con una ragazza molto giovane, che a sua volta lo schiavizza per i suoi capricci: l'ingegnere, dopo avere capito l'andazzo della sua relazione, si separa da lei, ma la sua mancanza si fa sentire...
Rappresentazione più che perfetta su grande schermo della femme fatale... uccide il maschio e lo divora, psicologicamente. Riuscitissima la commistione tra commedia e noir, soprattutto nella parte in cui Shoichi svuota casa sua dalla presenza di Michiyo. Fotografia a livelli stellari, qui ricchissima di colori sgargianti e di lunghi piani sequenza. Per nulla pesante e noioso, soprattutto per il fisico volutamente esposto (anche scoperto) della sig.rina Michiyo: lei è l'istantanea del Giappone di quell'epoca... fannullona, libertina ed ammaliatrice di altri maschi da sodomizzare. Dialoghi coloriti come la fotografia del film, per niente scontati e ricchi di commenti sociali... che omaggiano il nostrano neorealismo.

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La Fanciulla dal Cielo Azzurro, regia di Yasuzo Masumura, 1957.
Yuko viene mandata in un villaggio costiero per essere cresciuta lontano dalla sua sofisticata famiglia, ma quando scopre che da sua nonna che non era chi pensava di essere, parte alla ricerca della sua vera madre a Tokyo...
Se nel film di Yamada vengono esaltati i rapporti con la famiglia, qui Yasuzo li distrugge con del vero e proprio veleno, letteralmente un vero attacco alle fondamenta della famiglia conservatrice giapponese. Colore spettacolare come al solito (bibite gassate incluse!) e piani sequenza longevi, ma con una nota in più: l'esaltazione del cielo, inteso come l'anima di Wakao contro il conservatorismo della famiglia giapponese. Commedia libera dal tocco noir che in seguito aggiungerà il regista, dove qui regna incontrastata l'allegria e la felicità, nonostante i continui bastoni tra le ruote della famiglia di Wakao... che a sua volta li metterà a loro, dopo una spettacolare partita a ping pong. 

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Intimidazione, regia di Kureyoshi Kurahara, 1960.
Un direttore di banca viene ricattato e viene costretto a rapinare la sua stessa banca, a seguito di una fuga di documenti compromettenti sul suo operato...
Girato con un bassissimo budget, rimane uno dei noir più riusciti del cinema nipponico (oltre ad essere stato anche il primo girato nel Sol Levante), dove il regista riesce a farti avere la sensazione di non essere al sicuro da nessuna parte nel film... dialoghi eleganti come gli attori nel film, mai scesi verso il negativo. Nemmeno in ambito fotografico, con dei movimenti della cinepresa pari a quelli di Godard. Se pensavate che l'andazzo del primo tempo fosse così per tutto il film, preparatevi al colpo di scena verso il finale, dove letteralmente vi butterà all'aria tutto ciò che avete immaginato istanti prima. 

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Amara Fine di una Dolce Notte, regia di Yoshishige Yoshida, 1961.
Un impiegato di un grande magazzino tenta la scalata sociale con tre donne che gli ronzano attorno...
Pugni allo stomaco per tutta la durata del film. E' il ritratto del tipico idiota che crede di essere furbo, ma in realtà è più ingenuo di ciò che crede. Visione consigliata a chi è mentalmente di ferro, perché ci troviamo davanti a una spirale di intensa disperazione che punta verso il basso... ed a senso unico. Masahiko esemplare nella decostruzione del suo personaggio spavaldo e altezzoso, quasi sempre ubriaco e mai a posto con la propria testa. Le tre ragazze, come in un romanzo di Pirandello, si salvano dalla sua trappola e se ne liberano definitivamente... dandogli il colpo di grazia. Fotografia a un passo dalla Nouvelle Vague d'oltralpe, con un notevole uso delle ombre. Commento sociale amarissimo da deglutire, in quanto storie di tale genere si ripetono quasi ogni giorno: divario sempre più ampio tra ricchi e poveri, dove vi è chi vince la sfida e chi la perde definitivamente...
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Come sempre, anche per questa volta il nostro appuntamento con voi giunge al termine. Speriamo di ritornare presto con un bollettino più lontano dalle grandi tempeste su celluloide come questa e di navigare in acque più calme!
Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del blog!

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