La Trilogia di "Mike Hama" (1994-96) | Yokohama aveva il suo detective di fiducia!

Cari spettatori del Sottobosco, ben ritrovati in questo appuntamento speciale con voi di nuovo nel Sol Levante, ma questa volta con un ospite che lavora dalla parte della giustizia: Mike Hama.
Spudoratamente ispirato al Mike Hammer made in USA, ebbe talmente tanto successo che ne fu prodotta una serie di 12 episodi nel 2002, coinvolgendo anche un esercito di registi; vi spiccano sopra tutti Gakuryu Ishii (ancora accaldato da quell'agosto del 1994...) e Shinji Aoyama (colui che dirigerà "Mike Yokohama: A Forest with No Name" nello stesso anno, per la TV).
E questo detective altro non è che impersonato dal mitico Masatoshi Nagase.

Perché proprio Masatoshi Nagase?
Perché fu il suo definitivo trampolino di lancio nell'industria cinematografica giapponese, dopo il suo arrivo al trampolino nel Mystery Train (1989) di Jim Jarmusch. Noto caratterista giapponese, entrò nel mondo del cinema da studente nel 1982... fu selezionato tra 15.000 persone in una audizione nazionale e debuttò in Shoben Rider all'età di 16 anni. Da quel momento in poi la celluloide fu parte integrante della sua vita, tanto da portarlo a Hong Kong nel 1992 con "Autumn Moon" e anche nel remake della Farfalla in "Pistol Opera" (2001). Risulta una sua partecipazione in un film di Yoji Yamada, nel ruolo di un barista che si innamora di una ragazza sordomuta: "My Sons" (1991).

Mike è sulle tracce del fratello perduto di un taiwanese... ma finirà per inoltrarsi in uno scontro tra bande. Scontro che non necessita nemmeno del colore per rimanere a bocca spalancata. Girato totalmente in bianco e nero per omaggiare la pop-culture made by Suzuki (apparirà anche il Jo Shishido nazionale come suo mentore!), da' una sensazione unica nel suo genere: atmosfera antiquata, ma nuova. All'apparenza una delle classiche, banalissime, commedie dove il protagonista è talmente pieno di sé da mettere in subbuglio il proprio stomaco... si rivela essere un neo-noir perfettamente riuscito. La fotografia, assieme alle inquadrature, raggiungono senza alcuno sforzo il Cinéma du Look alla Luc Besson. Creativo e colmo di black humor, non causa problemi nemmeno nel doppiaggio originale, anzi: si rivela molto piacevole l'uso dei sottotitoli in inglese. Non imbarazzano, nemmeno nella violenza in cui gravita il film. Esilarante, poi serio; serio e poi esilarante che si adatta al carattere arrogante di Mike. Ironico e mai parodistico è il lavoro del suo collega (nonché tassista), generoso e sempre disponibile... anche in servizio!

Tassista che non smetterà mai di aiutare il suo amico Mike, che questa volta è prossimo alla bancarotta. Costretto ad accettare lavoretti di bassa lega come accalappiacani, si ripresenta sua madre... che per guadagnarsi da vivere lavora come spogliarellista. Tappa che omaggia i primi films giapponesi a colori di inizio anni '50, colori totalmente naturali e senza alcun ritocco fotografico. Rispetto al primo capitolo, se la gioca quasi del tutto con il black humor, polizia inclusa. Fotografia da antologia, nuovamente alla Luc Besson. Trama in cui si fatica a mantenere il filo del discorso, ma molto più dettagliata a causa di mosse da molte più parti: ritorna Shishido, la sorella di Hama vuole iscriversi all'università, ci si mette di mezzo la yakuza, etc... iconica la roulette russa al finale, ad alta tensione e da raggelare il sangue sia per il luogo che per gli avvenimenti che ne seguiranno, inevitabilmente macchiati di sangue. 

Sangue che arriverà a fiumi nell'ultimo capitolo della saga, dove questa volta Mike sarà costretto a lasciare il suo ufficio, poiché sarà braccato dalla polizia. Motivo? Un assassino ha impiantato le impronte digitali di Mike nelle vittime (femminili) che costui ha avvelenato... e si tratta del capitolo più spinto e disturbante di tutta la trilogia. A tratti uscito da un giallo firmato da Mario Bava, il Mike ironico e pieno di sé che abbiamo conosciuto precedentemente qui è più freddo e prossimo all'esasperazione. Sebbene la trama sia dettagliata ai livelli del film precedente, qui è la caratterizzazione (inquietante) dei personaggi a tenere saldamente il tutto. Si aggiunge una nuova comparsa nella vita di Mike, una fidanzata muta che comunica con lui picchiettando al telefono e battendo le mani per rispondere a delle domande... che al di fuori dalla relazione con lui dimostrerà di essere la Carroll Baker della situazione. Le sorprese arriveranno anche dalla polizia di Yokohama, dato che un collega della squadra decide di diventare anche lui un investigatore privato a causa dell'arroganza del suo superiore. Ancora una volta la fotografia è a un passo da quella di Besson... ma verso il finale, l'interesse comincia a perdere colpi a causa dei dettagli della stessa trama, che spariscono nel nulla.

Perché l'ufficio di Mike era situato all'interno di un cinema multisala?
Perché era uno dei simboli di Yokohama. Ha aperto i battenti nel 1953 come una tipica sala di proiezione dedicata al cinema giapponese... ma grazie al CinemaScope si è tramutato nel punto di riferimento per la proiezione di pellicole occidentali. Molti western e films di altri generi venivano proiettati a prezzi bassi, tanto da essere in forte concorrenza con un altro cinema poco distante, il Meigaza, che proiettava solo opere giapponesi. Sfortunatamente con l'avvento del terzo millennio, il cinema è stato costretto a chiudere le saracinesche nel febbraio del 2005 a causa di problemi finanziari... fino alla sua demolizione nel 2007, a causa delle inesistenti norme antisismiche dell'edificio. Inutile dire che anche dopo la sua demolizione, è ancora oggi una meta di pellegrinaggio per molti cinefili.

Conclusioni
Che probabilmente ci troviamo davanti all'antenato di quel detective rimpicciolito di Beika... ha il suo mentore (Yusaku Kudo), non marca mai di umorismo, ha i suoi amici pronti ad aiutarlo in qualunque difficoltà (i Giovani Detective, incluso il dott. Agasa) ed è legato a doppio filo con la polizia (Dipartimento di Beika). Non a caso la città di Yokohama si trova a poca distanza da Tokyo (30 chilometri di diversità) e si affaccia sul suo stesso mare.

Come sempre: ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del blog!

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